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03/03/2007 – C'è l'eclisse, ma niente romanticismi. Sapete che la Luna è già un affare?

Stasera, verso le dieci e mezzo, la Luna comincerà ad imbiondire e un quarto d'ora prima di mezzanotte diventerà completamente rossa, salvo impallidire a partire dall'una. Come la Gazzetta ha già spiegato ieri, si tratterà di una eclissi: la Terra si metterà in mezzo e poi filtrerà verso il satellite – a mò di ombra – soprattutto la componente rossa della luce del Sole.

E' la Luna rossa della canzone, no? “Luna bianca tempo bello, Luna rossa venticello...”. Per vedere la luna rossa ci vuole per forza l'eclissi?

No, la Luna si arrossa in genere per gli effetti dell'alta pressione sul pulviscolo atmosferico. Il vento poi non c'entra niente, anzi l'alta pressione rende i venti più fiacchi.

Come mai abbiamo smesso di andare sulla Luna? Si sente parlare di Marte, di Plutone...la Luna ha stufato?

In effetti non ci mettiamo piede dal '72. Gli americani hanno progettato di farci una puntata nel 2014 e di sbarcarci poi definitivamente nel 2018-2020. Hanno in mente di insediare, tra il 2020 e il 2030, una colonia umana permanente. Tutti ingegneri, in pratica, che staranno lì per preparare il viaggio di 400 milioni di chilometri su Marte: partenza nel 2030, arrivo un anno dopo. Siccome la gravità lunare è 6 volte più bassa di quella terrestre, staccarsi dalla Luna sarà più semplice, cioè meno costoso. E' un progetto al quale partecipano 13 paesi, compresa l'Italia.

Come faranno a vivere sulla luna? Non c'è aria e neanche acqua...

Dovrebbe esserci del ghiaccio ai poli, specialmente al Polo Sud. Acqua sarà cercata in ogni caso a partire dall'anno prossimo bombardando il suolo lunare. Poi la Luna è ricca di elio-3, un combustibile ottimo per i reattori nucleari. I reattori produrrebbero energia sufficiente per le necessità della colonia. Per l'energia ci sono altre idee: specchi solari al Polo sud lunare oppure in orbita.

Ci andranno solo gli ingegneri? Per esempio, uno di noi, uno qualunque, non potrebbe farci una gita?

La Luna sta a 400 mila km dalla Terra, il viaggio del 2020 durerà tre- quattro giorni. Il costo maggiore è quello dell'energia: per trasportare un chilo di roba ci vogliono 600 chili di carburante. I russi, che hanno già mandato in orbita 2 miliardari, offrono il seguente pacchetto – turismo tutto compreso: partenza in Soyuz dal cosmodromo di Baikonur, in Kazakistan, soggiorno di una settimana alla Stazione Spaziale Internazionale, poi sette giorni in orbita avvicinandosi sempre di più alla Luna, ma senza scendere. Il biglietto costa cento milioni di dollari. Interessa?

Allora non sono solo gli americani a voler andare sulla Luna...

Scherza? Il prossimo 17 aprile i cinesi lanceranno una sonda e subito dopo faranno arrivare sulla Luna un veicolo in grado di raccogliere dati utili a valutare le possibilità di un insediamento umano. I russi hanno messo a disposizione della loro agenzia spaziale Rosmocos un miliardo e settecento milioni di dollari e contano di cominciare a costruire la base sulla Luna tra 4 anni. Si stanno muovendo anche i giapponesi e gli indiani. C'è un interesse concreto e riguarda l'elio-3, combustibile pulito raro sulla Terra e abbondante lassù. C'è anche una logica imperiale, cioè di rapporto di forza sulla Terra che il possesso di un pezzo di spazio può modificare. Erik Galimov, dell'Accademia delle scienze russe, ha detto: “Chi per primo si prenderà la Luna, avrà conquistato la leadership globale sulla Terra”. Perché il Cosmo, in questo momento, è terra di nessuno: un trattato del 1979 che definiva lo spazio extraterrestre “proprietà di tutti” non è stato firmato da nessuna potenza. Preoccupante, no? Con un risvolto comico: Internet è pieno di agenzie che vendono appezzamenti sulla Luna, su Venere o su Plutone. UN acro, cioè mezzo ettaro, sulla Luna viene offerto a 30 euro. Tutto Plutone si porta via a 250 mila dollari. Un tizio che vive a San Francisco ha notificato all'ufficio del registro della città che l'intero sistema solare gli appartiene. Una schiera di avvocati si dà da fare da 27 anni per dimostrare che ha ragione. Non si metta a ridere: i terrestri che hanno comprato appezzamenti su pianeti e satelliti sarebbero già 2 milioni...

14/03/2007 – Putin viene a trovare Prodi e il Papa. Ma la sua Russia non è imbarazzante?

Ieri il presidente russo Vladimir Putin è arrivato in Italia...

(...) La Chiesa non ha remore a parlare con Putin? Putin sta restaurando una dittatura e c'è la questione dei diritti umani: i giornalisti ammazzati, la Cecenia ...

La questione della dittatura esiste: domenica scorsa Russia Unita, il partito di Putin, ha vinto le elezioni amministrative in 13 regioni su 14. nella quattordicesima regione ha vinto Russia Giusta, un partito che Putin ha fatto fondare da amici suoi per avere almeno la finzione di un concorrente. Domenica scorsa, a San Pietroburgo, l'ex campione di scacchi Kasparov ha guidato una grande manifestazione di tutti gli oppositori (destra, sinistra, centro). Giornali e tv non ne hanno quasi parlato.Sull'assassinio di Anna Politkovskaja e di altri personaggi sgraditi non è possibile che Putin caschi dalle nuvole. la Cecenia viene tenuta col pugno di ferro. In dicembre, quando si voterà per il nuovo Parlamento (la Duma), Putin vincerà naturalmente a man bassa. E l'anno prossimo, quando bisognerà votare per il nuovo presidente, Putin troverà un marchingegno per restare in sella. Dico “marchingegno” perché a regola, dopo due mandati, non potrebbe ricandidarsi.

Però?

Però l'uomo ha l'80% dei consensi in Patria, percentuale che si ricava da sondaggi credibili. E il mondo pensa che peggio di una Russia comandata da un dittatore ci sia solo una Russia instabile. Per il Papa sono fondamentali la tutela dei cattolici russi – perseguitati e depredati a suo tempo dai sovietici – e il viaggio a Mosca.

E per Prodi?

Qui il realismo è più ovvio. Dipendiamo dalla Siberia per il 27% del nostro fabbisogno energetico. La Gazprom, posseduta in maggioranza dallo Stato russo, comprerà gas dall'Eni fino al 2035 e ha concesso alla nostra compagnia di far ricerca e produzione di idrocarburi in Russia (in cambio ci venderà tre miliardi di metri cubi di metano, pagando all'Eni il trasporto). Proprio oggi a Bari Banca Intesa e MedioBanca firmeranno accordi di cooperazione con Vneshtorgbank e Vneshekonombank. Alenia e Sukhoi si accingono a costruire insieme un aereo per le medie distanze. Pecunia non olet. I diritti umani possono aspettare.

16/03/2007 – Quattro anni fa l'invasione dell'Iraq. Che cosa non ha funzionato per Bush?

Quattro anni fa, all'alba del 19 marzo 2003, gli americani cominciarono a bombardare Bagdad. Poche ore dopo, i marines varcarono il confine da Sud e si misero in marcia verso Bassora. Potremmo ricordare come andò? Il presidente degli Stati Uniti era Bush, lo stesso di adesso. Il presidente dell'Iraq era Saddam Hussein, uno dei più sanguinosi tiranni del Novecento. Costui, nel '90, aveva invaso il Kuwait, accampando diritti assai vaghi, in realtà perché aveva un debito di 10 miliardi di dolalri con i kuwaitiani e non voleva pagare. Ricacciato da una coalizione voluuta dall'Onu, era stato punito col divieto di esportare petrolio (se non in minima parte). Grazie a questo divieto, aveva messo in piedi un contrabbando gigantesco che gestiva personalmente e aveva coinvolto per una quindicina di anni i potenti dei Paesi occidentali, ben felici di chiudere un occhio in cambio di rimesse di denaro enormi. In questo modo, e con la complicità occidentale – che ne condannava gli atti solo a parole -, Saddam aveva perpetuato la sua dittatura, ammazzando centinaia di migliaia di persone, gassando villaggi, tenendo il Paese in uno stato di miseria e infelicità. Arrivò l'11 settembre 2001. Il presidente Bush, dichiarando guerra al terrorismo arabo ed erigendosi a difensore di tutto l'Occidente, sostenne di avere le prove che: il principale alleato dei terroristi era proprio Sadadm; Saddam nascondeva in Iraq armi di distruzione di massa con le quali avrebbe potuto mettere in pericolo tutto l'Occidente. Non era vero? No. Ma questo si seppe dopo. A quell'epoca, e con questi argomenti, Bush tentò di ottenere una copertura dell'Onu, ma inutilmente: i tedeschi e soprattutto i francesi, che avevano in Iraq interessi enormi, riuscirono a isolarlo. Bush partì all'attacco dell'Iraq, avendo al suo fianco quei Paesi che ne avevano condiviso l'analisi (gli inglesi e, con compiti non belligeranti, gli italiani), ma senza la solidarietà internazionale che aveva accompagnato gli americani in Kuwait. Quel tipo di solidarietà avrebbe potuto dargliela solo l'Onu. Che differenza fa? Tanto ho la sensazione che a far la guerra siano in ogni caso sempre gli americani. Non avrebbe forse fatto troppa differenza se le cose fossero andate come Bush sperava: rapida presa di Bagdad, cattura di Saddam, creazione di istituzioni democratiche, modernizzazione del Paese, petrolio per tutti, arricchimento degli iracheni. Bush immaginava che, abbattuto Saddam, gli americani sarebbero stati accolti a braccia aperte. Non andò così. Però Bagdad fu presa rapidamente e Saddam fu arrestato in poco tempo. Sì, ma gli americani non capirono il Paese in cui erano sbarcati. Credevano che, vinta la guerra sul campo, il periodo successivo sarebbe stata una festa. Invece, sparito Saddam, i capetti locali, feroci anche loro, si misero a fare la guerra all'invasore per occupare posizioni di forza da far fruttare quando gli occidentali se ne sarebbero andati. Cominciò una stagione dolorosissima di agguati, sequestri, battaglie e attentati con gli shahid, quelli che si fanno saltare in aria perché credono che in Paradiso li aspettino 72 vergini libidinose. Gli americani, che nel mese di guerra vera e propria avevano perso qualche decina di uomini, hanno lasciato sul campo nel periodo della cosiddetta pace quasi 4000 soldati. Nel frattempo l'area è sconvolta dalla tensione: in Iran un presidente estremista sta fabbricando l'atomica; nel Libano del Sud gli hezbollah sparano razzi su Israele; in Afghanistan i talebani si sono alleati con gli uomini di Bin Laden e si preparano a una controffensiva. Bin Laden è ancora vivo. E il terrorismo è tutt'altro che sconfitto. Un'impresa fallimentare? Gli americani farebbero bene ad andarsene al più presto? Gli americani non se ne possono andare. E l'impresa non è completamente fallimentare. Ma di questo parleremo domani.

17/03/2007 – Quattro anni fa l'invasione dell'Iraq. Perché gli americani sono ancora lì? Lunedì prossimo, 19 marzo, saranno quattro anni che gli americani fanno la guerra in Iraq. Quel giorno cominciarono i bombardamenti di Bagdad. Poche ore dopo i marines varcarono il confine meridionale del Paese, dirigendosi verso Bassora. In un mese sarebbero arrivati a Bagdad. Lei ieri ha prima descritto una situazione disperata e poi ha detto che gli americani non se ne possono andare e che il bilancio delle guerra non è completamente fallimentare. Sa perché nel 1991, dopo aver cacciato Saddam dal Kuwait, gli americani si fermarono e non lo andarono a prendere nella capitale? Perché Saddam, comunque, teneva unito il Paese, impediva cioè che curdi, sunniti e sciiti e relative sotto-tribù si scannassero tra di loro. Li massacrava, ma li teneva a bada. Il presidente del 1990-1991, quello che, dopo aver vinto, lasciò perdere, era Bush padre. Il figlio ha visto adesso quanto quella decisione – contestatissima all'epoca (al motto: “già che c'eri...”) - fosse sensata. Gli americani non se ne possono andare, adesso, perché la guerra civile sarebbe immediata, con relativo scannamento generale e stravolgimento delle istituzioni appena messe in piedi. Gli americani devono restare per forza. E gli aspetti positivi sarebbero...? Beh, intanto le isituzioni democratiche – fragili quanto si vuole – esistono. Esiste cioè un posto dove curdi, sciiti e sunniti possono discutere. Magari discutono e da qualche altra parte si fanno reciprocamente la festa. Però discutono e questo, considerando il passato, è un passo enorme. Inoltre, fino a ieri, il solo paese democratico in Medio oriente – democratico nel senso che noi diamo a questa parola – era Israele, non a caso nemico di tutti. Si deve tenere conto che il Medio Oriente – comprendendo in questa parola anche i paesi dell'Africa bianca come Egitto, Marocco, Algeria, Libia – è un immenso territorio retto da dittatori implacabili che non hanno nessuna intenzione di mollare. Guardi il più moderno di questi paesi, cioè l'Egitto: a parte i dissidenti in carcere, per candidarsi alle elezioni bisogna avere l'approvazione di un Parlamento dove il partito di Mubarak ha il 95% dei seggi! In un'area così, l'esistenza di un posto dove si svolgono elezioni regolari è uno scandalo. Discorso che vale anche per l'Afghanistan, dove si è pure votato grazie alla presenza occidentale. Che se ne fanno delle istituzioni democratiche paesi organizzati ancora per tribù? Più resistono, queste istituzioni, e più risulteranno utili. L'altro giorno, a Bagdad, il consiglio dei ministri ha varato una legge sugli idrocarburi estremamente equilibrata e giusta: le estrazioni di petrolio e di gas sono state poste sotto il controllo federale e si è stabilito che i ricavi delle vendite saranno distribuiti in ciascuna provincia in proporzione al numero di abitanti. Tenga conto che i giacimenti più ricchi stanno nelle aree dove la popolazione è sciita o curda: dunque la legge non discrimina la minoranza sunnita. Legge tanto più notevole perché l'odiato Saddam era proprio sunnita ed è accusato (a ragione) di aver derubato proprio sciiti e curdi. Non so come faranno a estrarre e distribuire, col terrorismo che dà persino fuoco ai pozzi. Ha ragione, e infatti i qaedisti si sono concentrati nella provincia di Anbar, dove sono stati scoperti nuovi, ricchi giacimenti. La partita infatti è proprio questa: man mano che le condizioni materiali degli iracheni miglioreranno, gli spazi per i terroristi si ridurranno. Gli americani – e gli occidentali – non sono sempre odiati? Io ho l'impressione che il clima, sia pure leggermente, sia migliorato. Intanto, ha avuto ricadute positive il fatto che Bush abbia deciso di aumentare il numero di soldati: gli iracheni hanno capito che gli Stati Uniti non hanno nessuna intenzione di andarsene. Robert Kagan dice che gli iracheni pacifici, sapendo che gli americani non se ne andranno, hanno ricominciatoa collaborare con l'Intelligence, cioè a dare notizie. Brian Williams, della Nbc, è andato a Ramadi e ha trovato una città sorprendentemente tranquilla. I funzionari corrotti sono stati tutti allontanati. La nuova strategia Usa – dice – sembrerebbe questa: “uscire, decentralizzare, andare nei quartieri, trovare appigli, dire al nemico “siamo qua” e avviare un dialogo con la popolazione locale”. Potrebbe anche risultare vincente. ==> (Le carte Usa su Saddam)

18/03/2007 – Che cosa succede intorno a Telecom. Sarà venduta? Resterà italiana? Le trattative per l'acquisto di Telecom, che sembravano destinate a concludersi questo week end, si sono improvvisamente bloccate per la discesa in campo di una cordata Mediobanca-Capitalia che sembra pronta ad offrire di più. Per i miei gusti ci sono già troppi personaggi in campo. Telecom sarebbe la vecchia Sip, vale a dire i telefoni? Sì, i telefoni, compresi i telefonini che conosciamo come Tim. Non so come le sia venuta in mente la Sip. Ha nostalgia dei telefoni di Stato? Magari tra un po' mi tirerà fuori la Teti? La Telecom di adesso non ha niente a che vedere con quelle vecchie aziende, che erano pubbliche, mentre ora i telefoni sono privati. La Telcom venne “privatizzata” - come si dice -, cioè venduta dallo Stato, una decina di anni fa. Se la comprarono per primi gli Agnelli (25 miliardi), che poi la rivendettero per 50 miliardi a un gruppo guidato da Colaninno e Gnutti, e costoro – che si erano indebitati fino alla cima dei capelli – si misero quasi subito a cercare un altro acquirente, perché avevano comprato con un solo obiettivo, quello di far soldi. Ecco allora apparire Tronchetti Provera. Era il 2001, Tronchetti era l'uomo che nel 1992 aveva salvato la Pirelli. Colaninno e Gnutti gli dissero: okay, ti diamo la Telecom, tu pagaci 80 miliardi e accollati i debiti. E a quanto ammontavano questi debiti? A 48 miliardi. Erano i debiti che Gnutti e Colaninno avevano contratto per comprare e che poi avevano sistemato nel bilancio dell'azienda, in modo da rifilarli al futuro compratore. Tronchetti aveva per i telefoni una passione smodata. Aveva preparato un progetto già nel 1993 per pigliarsi la Telecom, ma la Telecom in quel momento era dell'Iri e a capo dell'Iri era Prodi. Niente da fare. Stavolta, nonostante l'enormità della richiesta, non seppe dire di no. E comprò. Per farle la radiografia di quell'affare, le basterà sapere questo: un'azione Telecom valeva in quel momento (anno 2001) 4 euro. Adesso ne vale 2,1. Dimezzata. Ma Telecom mica perde. No, non perde. Ma il problema va visto dal punto di vista della Pirelli, perché a comprare materialmente fu appunto la Pirelli. Si trattava poi neppure del cento per cento, ma appena del 18. Dunque questo 18 fa parte dei beni di Pirelli, che deve far fronte ai debiti. Che si fa in questi casi? Siccome i soldi che guadagna Telecom non bastano, bisogna vendere altre proprietà. La lista dei beni di Pirelli dati via in questi anni è lunga e l'elenco delle operazioni tentate da Tronchetti, alcune delle quali discutibili, prenderebbe un libro. Basterà dire che l'estate scorsa la situazione era più o meno la stessa dell'inizio: una quarantina di miliardi di debito e forse di più. Fu in quel momento che da palazzo Chigi venne fuori questa idea: vendici la rete. Che cos'è la rete? La rete è il sistema di cavi di rame su cui corrono le telefonate. Telecom, per smorzare la posizione di monopolio, è obbligata a concederla anche ai concorrenti, sia pure facendosi pagare. Trasferirla allo Stato non sarebbe assurdo: è un bene al quale è difficile fare concorrenza (anche se da noi c'è Fastweb) e dunque è forse giusto che sia posseduta da un soggetto terzo. Ma Tronchetti disse di no a Prodi e su questo anzi si ruppero i suoi rapporti col governo. Al punto che si dimise da presidente, argomentando che la sua posizione di contrasto col presidente del Consiglio avrebbe potuto nuocere all'azienda. Al suo posto venne chiamato Guido Rossi, amatissimo dalle banche e amico del centro-sinistra. Allora è Guido Rossi che deve vendere? No, Rossi è a capo della Telecom. Chi deve vendere la Telecom è colui che la possiede. Cioè Pirelli. Il cui presidente e azionista di maggioranza (ha l'80%) è Tronchetti. Tronchetti aveva iniziato a trattare con gli spagnoli di Telefonica, molto interessati. Ma all'idea che degli stranieri si impadronissero di una società così importante, i politici sono tornati in campo. E si è fatto avanti il banchiere che ha fama di essere più amico di Prodi, cioè Giovanni Bazoli con la sua Banca Intesa. Tronchetti vorrebbe 3 euro ad azione, Bazoli gliene offrirebbe 2,6 e Mediobanca, scesa in pista all'ultimo insieme con la Capitalia di Cesare Geronzi, sembrerebbe disponibile a tirarne fuori 2,7-2,8. Ci sono tante ragioni per chiudere la partita in fretta. E una di queste è che potrebbero arrivare altri stranieri: russi, cinesi, indiani forse sarebbero pronti a pagare anche i 3 euro che vuole Tronchetti pur di mettere, attraverso la Telecom, un altro piede in Europa.

19/03/2007 – I talebani vogliono un successo politico. Mastrogiacomo? Soltanto una pedina. I talebani non hanno ancora liberato Daniele Mastrogiacomo. Perché non lo hanno ancora liberato? Far questa domanda significa non avere capito quale nebbia avvolge il mondo afghano, e quello talebano in particolare. (...) La sera di giovedì avevamo tutti la sensazione che fosse cominciata finalmente una trattativa seria, ma uno dei mille mediatori disse a uno dei nostri: “Forse avete sbagliato interlocutori!”. C'è infatti anche questo, che i talebani sono divisi, e la fine del sequestro deve coincidere con la vittoria di un capo talebano contro l'altro. In questo caso, Dadullah, che ha o aveva in mano Daniele e aveva ammazzato con le sue mani il giovane autista di 25 anni padre di 4 figli con la moglie in cinta, a dispetto di Mullah Omar, il capo dei talebani. Dadullah è così feroce? Sì, questa è la parola giusta. Ha perso una gamba mettendo il piede su una mina, ma combatte lo stesso. E' gigantesco con un gran naso, la barba. Massacrò gli hazara e si mise a scuoiarli. Omar – che è uno che fa lapidare gli adulteri in piazza – ne fu spaventato e lo degradò. Dopo la sconfitta del 2001, i pachistani della sua tribù Kakar gli regalarono una Land Cruiser. Omar lo fece risalire di grado, ma nel 2006 lo degradò di nuovo accusandolo di provocare troppe vittime civili con i suoi shahid (i kamikaze che si fanno esplodere tra la gente). Il sequestro Mastrogiacomo va letto anche all'interno di queste lotte intestine. L'anno scorso Daniele capitò proprio in mezzo agli uomini di Omar. Intervistò proprio il braccio destro del mullah, cioè Hanif, il terzo di cui Dadullah voleva la liberazione e quello che sarebbe stato fatto uscire di cella più malvolentieri. E che cosa si dissero? Erano appena morti in un attentato i nostri 2 alpini, Manuel Fiorito e Luca Polsinelli. Hanif disse: “Non facciamo differenza tra italiani, francesi, tedeschi, olandesi, inglesi. E' tutta gente al servizio degli Stati Uniti. Noi non crediamo al modello democratico occidentale.” Mastrogiacomo disse che neppure il loro modello è granché, prima condannavano le piantagioni d'oppio, ora si sono messi a fare i trafficanti. Hanif:”Ogni mezzo per combattere gli occidentali è buono. Noi siamo e restiamo contrari alle coltivazioni. Siete voi che chiedete l'oppio e l'eroina. Siete voi che cercate la morte.” Va bene, i talebani sono ferocie incomprensibili. Ma ieri sera era sembrato di capire che lo scambio dovrebbe essere oramai questione di ore. Può essere, però stanotte è ancora in mano di qualche tribù ed io non posso dimenticare certi ragionamenti degli americani. Quali ragionamenti? L'ambasciatore Finn ha spiegato ai giornalisti che per i talebani Daniele è solo una pedina da cui bisogna tirar fuori il massimo vantaggio. “Se gli vengono dati soldi chiederanno la liberazione di talebani detenuti, se riusciranno ad ottenere anche questo passeranno a chiederne di più e se anche questo gli sarà dato andranno avanti, magari chiedendo il ritiro delle truppe italiane o altro ancora.” Joe Carpenter, portavoce del Pentagono: “Ciò che Dadullah sta cercando di ottenere è un risultato politico, e la liberazione di un braccio destro del Mullah Omar gli garantirebbe questo successo, portando di conseguenza a un indebolimento di Karzai, il presidente afghano che simboleggia, data la sua carica, la normalità, la possibilità di avere nel paese la democrazia”. Speriamo che già da stamattina i lettori sappiano che gli americani avevano torto.

20/03/2007 – Mastrogiacomo può tornare a casa. Ma quanto è costato liberarlo? Ieri, tra le 13 e le 13,30, i talebani hanno liberato Daniele Mastrogiacomo, l'inviato di Repubblica che era stato sequestrato il 5 marzo. Daniele, camminando a piedi per un'ora e mezzo, ha raggiunto l'ospedale di Gino Strada a Laskargah. Strada ha poi dato la notizia a tutto il mondo. Il Presidente del Consiglio, Prodi, l'ha confermata ufficialmente alle 15. Sul tetto del quotidiano la Repubblica è stata a quel punto alzata una bandiera tricolore. Quando ritornerà in Italia? Forse già stasera. Oggi sarà a Kabul. In ospedale l'hanno trovato a posto. In fotografia (Peace Reporter) anche con il lunghì in testa e la barba, resta, nonostante la brutta avventura, il bel ragazzo che è sempre stato. Solo la voce è roca, deve aver preso freddo. In Afghanistan il tempo è bruttissimo. Che cosa è successo alla fine, perché ci hanno messo così tanto per lasciarlo libero? E' possibile che gli americani abbiano fatto storie sul terzo ostaggio, il portavoce Mohammed Hanifi. Oltre tutto, si sapeva che il mullah Dadullah lo voleva per tagliargli la gola, dato che lo ritengono un traditore. E' certo che i talebani hanno fatto alla fine quello che gli americani avevano previsto: hanno alzato il prezzo. All'ultimo si son dovuti lasciare liberi cinque prigionieri invece di tre. Come si sono potuti persuadere gli americani, contrari a ogni trattativa? I prigionieri liberati erano sotto il controllo afghano. Quando laggiù prendono qualcuno di importante, lo affidano subito agli americani che lo interrogano a fondo. Alla fine dell'interrogatorio, il prigioniero viene restituito agli afghani, che ne fanno quello che vogliono. I cinque talebani liberati dovevano già essere stati spremuti a dovere e riconsegnati agli afghani, perché gli americani non li avrebbero mai lasciati liberi. E' stato pagato un riscatto? Denaro? Ieri lo ha chiesto Calderoli e certamente nei prossimi giorni si faranno parecchie illazioni su questo punto. Ma è possibile che stavolta di denaro non ne sia corso. Daniele aveva per i talebani un grande significato politico, anche per i loro equilibri interni. Ha corso davvero il pericolo di esere ucciso? E' stato in pericolo in ogni minuto di ogni giorno. Lo hanno tenuto sempre in catene. Gli hanno fatto cambiare prigione tutte le sere. Gli hanno fatto vedere quello di cui sono capaci giovedì scorso, quando hanno ammazzato Sayed Agha: bendato, fatto inginocchiare, faccia premuta sulla sabbia fino a soffocare, testa spiccata dal busto con i coltelli. Dadullah guardava con soddisfazione il lavoro fatto dai suoi ragazzi. Daniele e l'interprete Adjmal, liberato ieri anche lui, assistevano con la morte nel cuore. Anche Prodi, ieri, ha detto di aver avutro molta paura. E non ci dimentichiamo le volte in cui D'Alema ci ha avvertito che la trattativa era tanto complessa. La complessità derivava dalla ferocia dell'avversario. Mastrogiacomo ha raccontato ai suoi primi intervistatori di come questi guerriglieri siano decisi, presenti, attivi, gioiosi. Sì, molto gioiosi e molto giovani; non fanno che scherzare tra di loro. Poi, a un tratto, eccoli trasformarsi nei ceffi implacabili, capaci di decapitare senza un tremito un ragazzo di 25 anni. Sa che anche Daniele è stato fatto inginocchiare in un tratto deserto? Lo hanno costretto a implorare il direttore del suo giornale Ezio Mauro. Mentre lui implorava di salvargli la vita, loro giravano un video, che non ci hanno fatto avere. No, riportare a casa questo nostro compatriota è stato arduo, molto arduo. Si deve, una volta tanto, alla cooperazione di tutti. Gente di destra e gente di sinistra, uomini della beneficenza, come Emergency, e servizi segreti come il Sismi (Prodi: “raffinatissimi”). Ezio Mauro ha detto che è tutto merito del governo, nel senso che il governo italiano ha saputo tirare dalla sua parte il primo ministro afghano Karzai.karzai, che è in Europa e ieri mattina stava in Germania con la Merkel, era così sicuro del lieto fine che chiedeva di continuo: “Ma non l'hanno ancora lasciato libero? Ma siete sicuri?,,.

24/03/2007 – Un rimborso per i figli dei kamikaze. Ma lo sapete di chi sono quei soldi? Il bambino Mohammed, di anni 5, alzando la manina, ha fatto il segno del “cinque”, volendo con questo non dire la sua età, ma rispondere alla domanda dell'intervistatore: “Quanti israeliani ha ucciso la mamma?”. Alla domanda successiva:”Dove si trova adesso la mamma?”, ha risposto: “In Paradiso”. Alla sorellina, di anni 7 e di nome Doha, è stato chiesto: “Facci sentire una canzone”. Doha ha canticchiato: “Rim, tu sei una bomba a mano, i tuoi bambini e i kalashnikov sono la tua parola d'ordine”. L'intervistatore ha esclamato: “Che bello. Bisognerebbe parlare più spesso dell'innocenza dei bambini”. Non mi sta raccontando un episodio vero. “E' un'intervista mandata in onda dalla tv Al Aqsa, che trasmette nella striscia di Gaza ed è controllata da Hamas. Hamas è la formazione terroristica che un anno fa ha vinto le elezioni in Palestina con la maggioranza assoluta dei voti e adesso ha deciso di formare un governo di unità nazionale con l'altro partito, Al Fatah, perché spera, in questo modo, di ricominciare a ricevere soldi dalla comunità internazionale. I palestinesi vivono dei sussidi che gli passiamo noi occidentali e, quando i terroristi di Hamas hanno vinto le elezioni questi sussidi sono stati interrotti. Adesso i norvegesi per esempio hanno fatto capire che potrebbero ricominciare a pagare. Il nostro sottosegretario agli Esteri Bobo Craxi ha telefonato al loro capo di governo, Ismail Haniyeh, dando assicurazioni. Il video con i bambini che esaltano la loro mamma terrorista è di gennaio ed è stato diffuso adesso in tutto il mondo, per iniziativa degli israeliani, con lo scopo evidente di ricordarci a chi ci accingiamo a dare nuovamente dei soldi. Che storia ha questa mamma terrorista? Si chiamava Rim Riashi. Aveva 21 anni. Il marito l'accusò di essere un'adultera. Le disse che solo facendosi saltare per aria avrebbe recuperato l'onore. Lei accettò e il 4 gennaio 2004 si presentò al valico di Erez e si fece esplodere, ammazzando 5 israeliani. Grazie a questo, la sua famiglia prende ora dei soldi. Come sarebbe? I parenti degli shahid, cioè i martiri di Allah, sono assistiti dalla comunità. Quando Arafat era ancora vivo, fece una trattativa con Faid Canaan, capo dei Fatah di Tulkarem, sui soldi che bisognava dare ai familiari degli shahid. Faid pretendeva che si costituisse un fondo di 2200 euro per ogni combattente; il famoso capo militare Barghouti era d'accordo; Arafat contropropose 880 euro; alla fine si stabilì un tariffario per tutti i gradi di terrorismo, partendo da 330-380 euro per chi compiva attentati di successo fino a 880 euro, più un bonus per i familiari. Nel 2005, l'Autorità palestinese emanò un'altra legge con un tabellario dei compensi: c'era il martire single, quello sposato, lo sposato con figli. Il compenso più basso era di 250 dollari al mese da versare ai genitori dello shahid scapolo. Questi soldi erano presi dai fondi dati dagli occidentali? Certo. Sono soldi che diamo anche noi, la comunità europea e le singole nazioni. Sarà bene sapere che Fatah, il partito di Arafat, perse le elezioni in favore dei terroristi di Hamas per l'eccesso di corruzione. Traduciamo senza fare nomi: i capi palestinesi ridistribuiscono poi a se stessi e ai loro amici i denari ricevuti. In tutto il mondo. Quanto al problema dei libri di testo e dell'indottrinamento dei bambini, anche questo è vecchio come il cucco. Cioè? Per esempio: “Determina qual'è il soggetto e qual'è il predicato nella seguente frase: la Jihad è un dovere religioso per ogni mussulmano” (dal manuale del 5° anni La nostra lingua araba). Oppure: “Tema: Come libereremo la nostra terra rubata? Adopera le seguenti idee: unità araba, fede in Allah, le più moderne armi e munizioni, il petrolio e altre risorse naturali come armi nella lotta di liberazione”. (7° anno). Sono i sussidiari che girano nelle scuole da anni. Sussidiari preparati da Hamas. Gliel'ho detto: è una storia vecchia come il cucco.

27/03/2007 – I talebani fanno coltivare l'oppio. Così si sono ripresi l'Afghanistan. Oggi il Senato vota il decreto di rifinanziamento delle missioni italiane all'estero, già approvato dalla Camera. L'esito è incerto. Come mai è incerto? Il clima politico è cambiato. La situazione in Afghanistan è molto più difficile di prima. (...) Perché la situazione in Afghanistan è diventata pericolosa? Sembrava un Paese tirato dalla parte dell'Occidente. La ragione è semplice: i soldati occidentali e il presidente Karzai, messo lì dagli americani, vogliono distruggere le piantagioni di oppio. L'Afghanistan ha circa 20 milioni di abitanti e tre vivono coltivando l'oppio. Il 52% del prodotto interno lordo viene dall'oppio. Mettersi in testa di distruggerlo vuol dire farsi nemici gli afghani che vivono al di fuori di Kabul. E se la popolazione ti è nemica, non puoi resistere a lungo. Anche i talebani quando erano al potere, contrastavano le coltivazioni di oppio. Sì, distrussero completamente i raccolti, nel 2000. E anche per questo i contadini afghani li mollarono. Non ci furono però conseguenze per loro: avevano i magazzini pieni e le vendite del 2001 andarono a gonfie vele. Dal 2001 ad oggi la produzione non ha fatto che aumentare. Con un record l'anno scorso: +59% sul 2005. Il reddito prodotto dall'oppio si aggira sui 2 miliardi e 800 milioni di dollari. Settecento milioni per i contadini, il resto per tutti gli altri: talebani, contrabbandieri, funzionari corrotti. I numeri del 2007 saranno ancora più alti. I talebani ora incoraggiano le coltivazioni di oppio? Non le incoraggiano, ma le ammettono. La frase di Hanif a Mastrogiacomo non è proprio vera, perché intanto più di un milione di afghani è diventato tossicodipendente a sua volta. Ma insomma i talebani e i qaedisti vogliono riconquistare Kabul e far tornare una teocrazia islamica in Afghansitan. Se l'oppio può servire, perché no? Con questa logica hanno riconquistato l'appoggio della gente. C'era stata questa proposta: che l'Occidente comprasse tutto l'oppio afghano e lo adoperasse per fabbricare i farmaci contro il dolore. E' una bella idea, ma di successo dubbio. Non per una questione di soldi, perché l'Afghanistan costa già molto denaro e, più o meno, si tratterebbe di spendere cifre analoghe ma in un modo diverso. Stiamo parlando di 4 miliardi di dollari l'anno. Non è una cifra pazzesca: gli Stati Uniti spendono 20 volte tanto, ogni anno, per la guerra in Iraq. Però l'oppio per uso medicinale si vende legalmente a 25-30 dollari al chilo. Invece l'oppio per drogarsi si vende di contrabbando a 130. Per convincere i contadini afghani a vendere l'intero raccolto sul mercato legale, bisognerebbe evidentemente applicare il secondo prezzo. E però: il 92% dell'eroina consumata nel mondo dai tossicodipendenti viene dall'Afghanistan. Cosa accadrebbe quando il centro di produzione più importante smettesse di rifornire i mercato? Qualcun altro di sicuro si metterebbe a coltivare papaveri e a fronteggiare la domanda. E questi papaveri di nuova produzione sarebbero venduti a un prezzo più alto dei 130 dollari divenuti legali. Ai contadini afghani converrebbe perciò di nuovo piazzare il papavero nel circuito del narcotraffico. Un ciclo teoricamente infinito. La realtà purtroppo è che il talebano Hanif non ha tutti i torti. E' l'Occidente, con il suo esercito che vuole combattere i produttori di un bene che lui stesso richiede e paga a caro prezzo, a essere in totale contraddizione!.


Ultimo Aggiornamento alle 13.30 del 06/12/10 - Creato con Blocco Note da Marco Merlino. Index